Rischio di encefalopatia traumatica cronica con le arti marziali miste

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 02 febbraio 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

L’encefalopatia traumatica cronica (CTE, da chronic traumatic encephalopaty) fu descritta per la prima volta in pugili professionisti che, dopo una lunga carriera agonistica, presentavano una sintomatologia neuropsicologica e psichiatrica, prevalentemente caratterizzata da disturbi della memoria, alterazioni del tono dell’umore e cambiamenti sintomatici del comportamento. Dopo numerose descrizioni di casi del disturbo encefalopatico in ex-praticanti di altre discipline sportive, è attualmente prevalente l’opinione tra neurologi e neuropatologi che l’esposizione a ripetuti traumi cranici possa dare origine a CTE in atleti di altri sport.

Lim e colleghi presentano il caso di un uomo di mezza età che, nel corso di un anno, ha lamentato una perdita di abilità di memoria e scarsa concentrazione, accanto a riferite modificazioni comportamentali. Il paziente, ex-praticante di arti marziali miste, è stato sottoposto ad un accurato studio di valutazione diagnostica, che ha accertato la presenza di una CTE.

(Lim L. J. H., et al., Dangers of Mixed Martial Arts in the Development of Chronic Traumatic Encephalopathy. International Journal of Environmental Research and Public Health Epub ahead of print 16 (2). pii: E254. doi: 10.3390/ijerph16020254, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychological Medicine, Yong Loo Lin School of Medicine, National University of Singapore (Singapore); Biomedical Global Institute of Healthcare Research & Technology (BIGHEART), Yong Loo Lin School of Medicine, National University of Singapore (Singapore); Center of Excellence in Behavioral Medicine, Nguyen Tat Thanh University (NTTU), Ho Chi Minh City (Vietnam).

Con la denominazione di arti marziali miste (MMA) si indica una disciplina sportiva consistente in un combattimento a contatto pieno che prevede l’impiego sia di tecniche delle arti marziali, sia di tecniche della lotta libera. Alcuni fanno risalire questa forma di combattimento ai modi e alle regole del pancrazio dell’antica Grecia, introdotto nel 648 a.C. nei giochi Olimpici e caratterizzato dall’unione del pugilato con la lotta libera e la possibilità di impiegare i mezzi più disparati per sconfiggere l’avversario.

L’origine più diretta si ritiene si possa attribuire ai promotori delle tecniche miste rese popolari da Bruce Lee, come dichiarato nel 2004 dal presidente dell’UFC. In pratica, l’esperienza dello Shoot Wrestling e del Brazilian Jiu-Jitsu in Nord America, del Vale Tudo in Brasile e degli spettacoli di Shooto in Giappone, ha suggerito i criteri poi evoluti nel regolamento attuale delle MMA.

Come si è accennato nelle righe introduttive, l’encefalopatia traumatica cronica (CTE) originariamente descritta nei pugili è stata poi riconosciuta in atleti di altri sport, quali football americano, hockey su ghiaccio, rugby e MMA. La base neuropatologica, indotta dall’accumularsi nel tempo di microtraumi, sembra consistere nello sviluppo di una sofferenza metabolica della cellula nervosa che evolve in una vera e propria taupatia. A queste conclusioni si è giunti principalmente grazie agli studi di Bennet Omalu e colleghi[1].

Oltre alla sintomatologia neuropsicologica cognitiva con deficit mnemonici e disturbi della comunicazione verbale, è stata descritta per questa encefalopatia una sintomatologia neurologica del versante motorio con disartria, atassia e tremore, e manifestazioni cliniche psichiatriche quali alterazioni della personalità, ideazione delirante, delirio di gelosia, ecc. che, nei casi più gravi, evolvono secondo il profilo delle psicosi associate a demenza.

I risultati della valutazione cognitiva del paziente di Lim e colleghi hanno evidenziato rilevanti difficoltà nei compiti che richiedono abilità di memoria a breve termine (STM) e rapidità nell’elaborazione dell’informazione; limiti evidenti sono stati registrati anche nella capacità di organizzazione concettuale e nell’esecuzione parallela e contemporanea di più compiti (multitasking).

Come si legge nel resoconto anamnestico, il paziente ha praticato per 10 anni arti marziali miste (MMA, da mixed martial arts) e successivamente è diventato istruttore di questa disciplina sportiva. Un’analisi approfondita e minuziosa delle esperienze del paziente durante gli anni della pratica ha consentito di accertare che, per effetto del suo stile di lavoro, era andato incontro a numerosi piccoli episodi di concussione cranica.

Attualmente non si dispone di studi di vasta scala sugli effetti di traumatismi del cranio nelle MMA. Per tale ragione c’è urgente bisogno della realizzazione di studi che possano fornire dati affidabili ed attendibili, almeno in termini epidemiologici, per poter disporre di un riferimento per l’interpretazione prognostica di quanto emerge dai singoli casi clinici, sia in termini di lesioni sia in termini di profilo cognitivo-prestazionale. Infatti, allo stato attuale delle conoscenze, l’encefalopatia traumatica cronica (CTE) può evolvere come una malattia cronica debilitante con sequele neuropsichiatriche gravemente invalidanti.

Il caso descritto da Lim e colleghi sottolinea l’importanza di una conoscenza diffusa, in termini di pubblica consapevolezza, dei rischi e dei pericoli che le MMA possono costituire per il cervello; in particolare, si avverte il bisogno di campagne informative rivolte ai più giovani, che spesso sono attratti dalla pratica di queste discipline.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-02 febbraio 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] La storia degli studi condotti dal neuropatologo nigeriano è narrata nel film del 2015 “Zona d’ombra”.